28 Weeks Later, di Juan Carlos Fresnadillo


E’ esattamente il film che avrei voluto vedere e potrei fermarmi qui, ma.

28 Settimane Dopo è il degno successore del capolavoro di Boyle, 28 Settimane Dopo vede un uomo terrorizzato e colpevole che fugge nel verde inglese, vede un cigno bianco che attraversa un Tower Bridge devastato nella sua imponente e giocosa bellezza. Una Londra più grigia del solito, una Londra infetta, una Londra che arde. Il nemico non è uno solo, il nemico è ovunque. 28 Settimane Dopo è molto più di un horror, è un brivido di angoscia e impotenza.
Le prime meravigliose scene girate da Danny Boyle hanno inizio dove il predecessore era terminato e vedono come protagonisti gli ultimi umani rifugiatisi nelle campagne per sfuggire al contagio; poi Fresnadillo prende in mano la situazione e la narrazione si sposta fino a giungere alle fatidiche 28 settimane dopo, quando l’infestazione sembra essere sotto controllo ed ha inizio la ricostruzione del distretto uno, ben diverso dalla tipica zone one londinese. Ovviamente nulla è sotto controllo.
Penso di poter affermare che la componente violenta supera non di poco quella del suo paparino, che perlomeno offriva allo spettatore giusto i rituali dieci minuti per ambientarsi. Un uso confuso e frenetico della macchina da presa non può che accentuare la profonda sensazione di angoscia che pervade tutta la pellicola, fino a raggiungere il suo apice in una sequenza completamente buia nella quale allo spettatore è concesso solo il punto di vista mediante un obiettivo per visione notturna. Sì, sì, lo so, ce l’aveva già fatto vedere Demme, ma qui è un’altra cosa, non so se migliore, solo un’altra cosa. Robert Carlyle è perfetto, sofferente e impeccabile; Rose Byrne si prepara ad entrare nell’olimpo delle mie attrici preferite; persino il solitamente poco elegante Jeremy Renner dà una buona prova. Forse un po’ sopra le righe Imogen Poots, forse.
Una fotografia indimenticabile, una colonna sonora magnifica, in continuum con 28 Giorni Dopo. Certo, non manca qualche caduta di stile, l’azione schiacciante prevale sulle altre componenti e forse il Big Ben viene inquadrato giusto una volta di troppo, ma non sarò certo io a lamentarmi. Spero solo che nel prossimo episodio la narrazione non abbandoni Londra, perché, almeno per quanto mi riguarda, l’ambientazione in questa città contribuisce non poco a livello di trasporto e, perché no, talvolta anche di commozione. Welcome in London!

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